Intervista al presidente nazionale di Nursing Up, il sindacato degli Infermieri e dei Professionisti della Sanità: “noi insoddisfatti del nuovo CCNL, si poteva fare di più”.

di Angelo Riky Del Vecchio

Continuano le interviste di AssoCareNews.it ai segretari generali e locali dei sindacati del Comparto Sanità per parlare del nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di Infermieri, Infermieri Pediatrici, Ostetriche/i, OSS e Professioni Sanitarie.

Questa sera abbiamo ascoltato Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up. Vediamo cosa e come ha risposto alle nostre domande.

Siamo alla vigilia del rinnovo del CCNL 2019-2021 del Comparto Sanità. Quali sono le proposte avanzate dal suo sindacato? E quali sono quelle fatte proprie dall’ARAN?

Un contratto ben lontano dal rappresentare la svolta tanto desiderata e attesa. Un percorso tortuoso, complesso: ancora una volta per noi infermieri sembra di camminare su una scala di vetro fragilissima pronta a crollare sotto i nostri piedi da un momento all’altro. Non passa un giorno che non ci costringono ad alzare la voce in trattativa, e non sono poche le proposte che in questi mesi abbiamo sottoposto all’attenzione dell’Aran. Certo è che non intendiamo lasciar correre, perché di fronte a ipotesi nefaste come quella dell’aumento dei 26 centesimi orari, per le indennità dei turni notturni, non possiamo certo accettare la triste realtà di un contratto che potrebbe tramutarsi nell’ennesimo boomerang.

Ecco le nostre proposte principali:

– Risorse economiche sufficienti e degne di tal nome, degne dell’eccellenza professionale che gli infermieri italiani rappresentano, sufficienti a garantire il riconoscimento del nostro valore e avviare finalmente un concreto percorso di valorizzazione atteso da tempo.L’Aran pensa davvero che siamo di fronte alla svolta tanto desiderata con 26 centesimi lordi di aumento di indennità per ogni ora di lavoro notturno e con meno di 1 euro in più previsti per la pronta disponibilità degli operatori sanitari? Queste proposte come ben noto hanno solo finito con il fomentare la nostra rabbia e la nostra delusione! L’ARAN continua a sostenere che non si possono superare le percentuali di risorse attribuite al rinnovo contrattuale (4,38% a regime – escluse risorse stanziate fuori dai fondi contrattuali). Questo è vero, ed è la ragione per la quale noi chiediamo integrazioni con risorse fresche! Ma non dimentichiamo che le risorse possono essere “ottimizzate”, pur con tutti i limiti  posti dal perimetro macro finanziario, valorizzando quelle che remunerano maggiormente particolari disagi del personale. Si può fare in trattativa, agendo sul fondo contrattuale di riferimento, e beninteso senza nulla togliere alla parte fissa e ricorrente dello stipendio.

Insomma, sono davvero questi gli aumenti che valgono, agli occhi del Ministro Brunetta,  il sacrificio di centinaia di migliaia di Infermieri Italiani, che si sono infettati durante la pandemia per ragioni di servizio? E’ questo il lauto riconoscimento del Ministro  e delle regioni italiane agli Eroi, gli Angeli delle corsie, quelli che si sono fatti carico di compensare il disagio di  regioni disorganizzate, che quando il Covid sbarcò per la prima volta in Italia si sono fatte trovare completamente sguarnite di piani di prevenzione, e che invece  di mandare mascherine e dispositivi per proteggere i sanitari contro un nemico subdolo ed invisibile li hanno mandati allo sbaraglio?
- Chiediamo di abbattere, si spera in modo definitivo, le profonde disparità economiche tra le professioni sanitarie, in particolare facendo crollare quel muro di cemento armato che esiste da troppo tempo tra infermieri e medici. Nessuno dimentichi la legge 42 del 99, e il nuovo Codice deontologico degli infermieri nell’ambito di un processo di revisione delle norme professionali che viaggia di pari passo con le innovazioni del diritto e dell’evoluzione della professione, normative che hanno sancito il definitivo superamento del concetto di ausiliarietà e mera esecutività dell’assistenza infermieristica in relazione alla professione medica. Ma tutto questo dal punto di vista strettamente economico non è ancora avvenuto.
- Nella bozza ARAN, nel discutibile tentativo di far passare una sedicente volontà di valorizzare gli infermieri e le altre professioni sanitarie, viene previsto, niente di meno, che un intero articolo dedicato all’indennità di specificità infermieristica (ma questo vale anche per l’indennità destinata alle altre professioni sanitarie), e si sostiene che tale indennità serve al riconoscimento e la valorizzazione delle loro competenze.

No signori! La valorizzazione ed il riconoscimento “contrattuale” delle competenze infermieristiche “devono ancora di fatto arrivare”.L’indennità l’abbiamo ottenuta, è nostra per legge, e non ce la riconosce certo questo contratto, che tuttavia dovrà preoccuparsi di farla arrivare in busta paga!Nessuno osi, quindi, fare perno su questa indennità, dicendo che essa rappresenta un riconoscimento contrattuale, dando in tal modo ulteriore fumo negli occhi. Se qualcuno ha intenzione  di prendersi meriti che non ha , solo per per esimersi dalle proprie responsabilità contrattuali nei confronti delle professioni sanitarie, pensando in questo modo di non riconoscere agli infermieri nuove risorse contrattuali , sostenuto da una menzogna, e cioè che il contratto ha già riconosciuto loro l’indennità della quale si parla, ebbene quel qualcuno si sbaglia di grosso!La valorizzazione contrattuale degli infermieri rappresenta un percorso obbligato, una conditio sine qua non, un passaggio fondamentale per la ricostruzione della sanità italiana.Ma l’indennità infermieristica ci spetta di diritto ed è già nostra! Per tanto nessuno osi metterla in ballo per farla figurare come una epocale concessione contrattuale , prendendosi magari i meriti di avercela concessa!

– Proponiamo lo blocco della mobilità degli infermieri e delle altre professioni sanitarie. Tante aziende sanitarie italiane, da Nord a Sud, continuano a cadere nell’errore di non permettere i trasferimenti del proprio personale, dal momento che quello che hanno, preferiscono tenerselo stretto, ponendo di fatto un veto alle numerose richieste di mobilità che tanti padri e madri, loro dipendenti, inviano ogni giorno. Con la conseguenza di obbligare , queste persone, a continuare a lavorare lontano dai loro affetti. Ma soprattutto si tratta di professionisti che il più delle volte sono costretti a pagare doppi affitti, doppie bollette, avendo la necessità di doversi mantenere lontano da casa e, contemporaneamente, di dare sostegno alle famiglie lontane. Sono proprio gli uomini e le donne che lavorano nelle corsie, che difendono ogni giorno la salute dei cittadini, a fare la differenza. Sblocco della mobilità significa favorire la permeabilità del personale sanitario. Significa permettere l’attivazione di un sano flusso di dipendenti, sia in entrata che in uscita, che potremmo definire non a torto “virtuoso”.Le aziende sanitarie che non attivano procedure generalizzate di mobilità si privano della possibilità di usufruire di quel “now how” che un infermiere, solo per citare una delle tante professionalità interessate, acquisisce attraverso le diverse realtà con cui entra a confronto nella propria carriera. Per poi mettere a disposizione delle nuove strutture dove approda, ciò che ha appreso da dove proviene, oltre a mettere in campo le conoscenze e le  abilità che esprimono il suo solido percorso di studi. Il nostro sindacato, da parte sua, sta conducendo una serrata campagna e sta esercitando una forte pressione, portando avanti una propria concreta proposta nell’ambito dell’attuale percorso di rinnovo contrattuale del comparto della sanità. A tal riguardo abbiamo proposto all’ARAN, come integrazione contrattuale, una nuova norma che consenta di sbloccare finalmente le mobilità degli infermieri e degli altri operatori sanitari, oggi nelle mani, esclusivamente, delle aziende sanitarie. Tale norma, almeno allo stato delle trattative,  sembra essere stata recepita.  – Chiediamo la modifica della legge 464 bis con il riconoscimento, finalmente, della libera professione per gli infermieri italiani e per le altre professioni sanitarie, non vincolando la disposizione dell’esclusività solo al piano vaccini e al periodo del Covid oppure alle misere 4 ore riconosciute da un più recente provvedimento di legge, che peraltro è temporaneo. E’ il momento di adottare questa nuova importante decisione che rappresenterebbe una svolta nel futuro dell’infermieristica e nella qualità dell’assistenza in favore dei cittadini italiani. Lasciamo finalmente liberi gli infermieri pubblici, mettiamo una volta per tutte a disposizione della sanità territoriale, delle RSA, delle case di cura e cliniche private, e di ogni cittadino che ne avesse bisogno, la loro competenza, professionalità, e la loro enorme esperienza sul campo. Diamo una sterzata decisiva al percorso di rinnovamento del nostro sistema sanitario, profondamente debilitato da quella cronica carenza di personale che rappresenta ormai il nostro vero tallone d’Achille.

– Insistiamo su direttive e risorse finalizzate a sostenere l’aggiornamento professionale dei professionisti del comparto, per i quali deve essere operata una riduzione del debito orario settimanale (orario di servizio) pari ad almeno 4 ore settimanali, da utilizzare per le attività di aggiornamento, come già avviene per i medici.

– Abbiamo chiesto un ruolo infermieristico e delle professioni sanitarie per valorizzare le nostre specificità professionali, continuando a lavorare su una legge per l’area autonoma analoga a quella della dirigenza. Tale richiesta, almeno allo stato delle trattative,  sembra essere stata recepita.

– Proponiamo l’introduzione di un principio di proporzionalità affinché le aziende, quando decidono il numero e tipologia degli incarichi da attribuire al personale, privilegino il personale sanitario, che rappresenta circa il 73 % del totale.

– Chiediamo, per i coordinatori, il posizionamento in area elevata qualificazione, visto che l’ARAN si oppone fermamente all’ammissione diretta dei professionisti sanitari che noi chiediamo sin dal momento della sua  costituzione.

– Si deve individuare una idonea e remunerativa collocazione per gli specialisti ed esperti, dei quali la bozza ARAN si è dimenticata – E’ indispensabile prevedere  un meccanismo che garantisca agli infermieri ed alle altre professioni sanitarie collocati nell’area prevista dalla bozza ARAN, la possibilità di fare carriera, offrendo loro i medesimi strumenti di evoluzione previsti per le altre qualifiche delle aree sottostanti.

– Occorre riconoscere, agli infermieri ed al personale del Ruolo Sanitario (Professionisti della Salute), un “differenziale economico di professionalità specifica”, aggiuntivo rispetto all’altro personale. Questo differenziale è dovuto, perché coerente con i maggiori oneri che gli stessi sostengono, dal momento che il loro esercizio professionale, è condizionato, differentemente dagli altri, all’aggiornamento ECM, alla stipula di specifica polizza assicurativa RC Colpa Grave e, nei casi previsti, al pagamento della tassa di iscrizione al relativo Ordine o Collegio.

– Si rende opportuno eliminare le incomprensibili limitazioni di carriera previste per il personale in part time, e quelle che vorrebbe introdurre l’ARAN per la carriera del personale sanitario, come la Laurea Magistrale, che peraltro potrebbe anche essere in contrasto con le previsioni della Legge 43/2006, limitandola solo laddove esista una norma di legge che lo preveda espressamente.- Bisogna opporsi con tutte le forze alla proposta di ARAN, di retribuire lo straordinario con tariffa unica. Infatti, pretendendo di rideterminare il compenso per lavoro straordinario, che oggi è rapportato alla retribuzione mensile comprensiva del rateo tredicesima mensilità vuole attribuirgli un’unica tariffa, valida per tutti i dipendenti, senza più differenziazione , con il risultato che un infermiere, o un altro professionista sanitario prenderà la stessa tariffa di un ausiliario. Questo metodo  penalizzerebbe esclusivamente infermieri e professioni sanitarie ad esclusivo vantaggio del personale delle aree sotto ordinate.

– E’ ormai doveroso procedere con una reale valorizzazione “dell’esperienza sul campo degli infermieri e professioni sanitarie, o mediante gli incarichi di funzione professionale già previsti, e da noi richiesti, oppure mediante l’introduzione di un “incarico di funzione esperienziale”. Tale incarico, beninteso, deve essere garantito “a tutti gli infermieri ed altri professionisti sanitari “dopo un certo numero di anni di servizio. Non dovrà essere assoggettato a limitazioni o discriminazioni tra personale con medesima anzianità lavorativa. Insomma, il modello deve essere quello della Dirigenza Medica.

– Occorre adeguare, senza indugio, le dotazioni organiche attese da tempo, con un coraggioso piano di assunzioni da Nord a Sud, partendo da una stabilizzazione dei precari della sanità reclutati durante l’emergenza Covid. Tutto questo per far fronte alla cronica carenza di personale con cui da tempo immemore siamo alle prese, tenendo presente che però non siamo affatto d’accordo sulle recenti decisioni del Governo. Una riflessione infatti è doverosa. Di fronte alle gravi carenze di personale in cui versa in nostro SSN, che senso ha limitare la stabilizzazione solo a chi ha lavorato per almeno 18 mesi, “dei quali almeno 6 durante l’emergenza Covid?”. Il precariato degli infermieri italiani rappresenta una grave piaga del nostro sistema sanitario, una ferita le cui origini risalgono a molto prima del Covid. È palese poi che di fronte all’emergenza sanitaria, che oggi perdura, e alla cronica carenza di personale, ci si attendeva risposte concrete in merito ad una stabilizzazione indispensabile per sorreggere il peso delle nuove battaglie da affrontare. L’assunzione a tempo indeterminato consentirebbe non solo di colmare le carenze di personale, ma anche di adeguare le dotazioni organiche alle nuove esigenze del Pnrr. La stabilizzazione anticiperebbe, infatti, parte del fabbisogno del personale dei prossimi anni. Non dimentichiamo infatti, secondo recentissime autorevoli indagini, che partendo dai 63mila infermieri precari e toccando quota 80-85mila fino a 100mila nel pieno dell’emergenza sanitaria, si rischia di arrivare a un fabbisogno di 230-350mila infermieri per una popolazione destinata sempre di più ad invecchiare e bisognosa quindi, in quanto potenziali soggetti fragili, di personale sempre più specializzato.

– Stiamo lottando, e voglio precisarlo, per sensibilizzare gli enti ad introdurre presidi di vigilanza da parte delle forze dell’ordine o di strutture private per infrangere sul nascere la piaga del fenomeno delle violenze fisiche e psicologiche sugli operatori sanitari. Da mesi e mesi, continua De Palma, chiediamo il ripristino dei presidi di pubblica sicurezza all’interno degli ospedali. In carenza dei presidi di Polizia interni, abbiamo proposto anche la creazione di strutture di pronto intervento per la sicurezza all’interno degli ospedali, con uomini qualificati ad agire prontamente in caso di emergenza, perché resta quasi inutile, e talvolta addirittura dannoso, allertare le forze dell’ordine dall’esterno quando tutto si è già consumato. Tutto questo mentre una recente legge presentata “in pompa magna”, ma dimostratasi, nei fatti, a scarsissimo impatto, non ha fatto altro che gettare fumo negli occhi. -Abbiamo precisato che, come Nursing Up, non accetteremo passivamente alcuna ipotesi “di eventuale salto in avanti” verso le aree superiori, senza il possesso del titolo di studio, di professionalità ricomprese nelle aree sottostanti a quella delle professioni sanitarie, di qualsiasi qualifica si tratti (perché questo è stato ipotizzato in una norma transitoria del nuovo ordinamento contrattuale), a meno che, a monte di tutto questo , non vi sia un idoneo meccanismo che garantisca anche agli infermieri ed agli altri profili sanitari un analoga proiezione verso l’alto, cosa allo stato impossibile , se non si modifica, come noi chiediamo a gran voce, la struttura ordinamentale ipotizzata dall’ARAN. Il caso contrario, e quindi facendo muovere verso l’alto solo alcune categorie professionali  collocate in aree sotto ordinate rispetto a quella delle professioni sanitarie, comporterebbe come conseguenza una penalizzazione dei professionisti sanitari che resterebbero compressi verso il basso, cosa per noi inaccettabile.- Ultimo in elenco, e non certo per importanza, abbiamo chiesto formalmente all’ARAN, di introdurre una norma contrattuale che richiami le aziende ad applicare un sacrosanto principio di proporzionalità nell’individuazione ed attribuzione degli incarichi. Troppo spesso oggi si verifica che enti con dotazioni organiche costituite per il 75% da personale sanitario, attribuiscono un numero maggiore di incarichi al personale amministrativo o di altri profili, che dovrebbe invece svolgere attività di supporto o funzionali a quelle sanitarie, con il paradosso che, in troppe aziende, gli operatori sanitari accedono ad un numero inferiore di incarichi rispetto al personale amministrativo. In sostanza, abbiamo chiesto che le aziende, nel rispetto del principio di proporzionalità, vengano investite della responsabilità di individuare, previamente, il numero e la tipologia degli incarichi da attribuire nelle differenti aree contrattuali, garantendo a tal fine, che gli stessi risultino “equilibrati”, rispetto alla consistenza complessiva e alla specifica qualifica dei dipendenti risultanti in organico.

Dalle bozze circolate in questi giorni il nuovo CCNL dovrebbe essere valorizzante per gli Operatori Socio Sanitari e penalizzanti per gli Infermieri, gli Infermieri Pediatrici, le Ostetriche e più in generale con le Professioni Sanitarie. Lei è d’accordo con questa analisi?

E’ necessaria chiarezza su quali evoluzioni di carriera spetteranno davvero agli infermieri, che in attesa della legge sull’area autonoma potrebbero essere finalmente collocati nel  proprio specifico “ruolo contrattuale” del quale abbiamo già accennato, assieme al resto delle professioni sanitarie giuridicamente affini, purché nell’ambito di un  sistema che sia in grado di valorizzarli concretamente. Il meccanismo di classificazione ipotizzato esprime 5 aree, nelle quali sarà praticamente collocato il personale che transiterà dalle attuali categorie verso i rispettivi ruoli. Ci sentiamo in verità, come chi teme di ritrovarsi per l’ennesima volta, nonostante i propri sforzi, le lotte, le battaglie, di fronte ad un lavoro pericolosamente incompiuto! Le aree “dovrebbero” descrivere livelli omogenei di competenze professionali necessari per svolgere le differenti attività lavorative afferenti agli operatori che vi sono collocati. E’ chiaro che gli infermieri sono penalizzati, per non dire ingabbiati, rispetto “a tutto il personale sotto ordinato” (aree sottostanti), che invece, da una posizione più bassa, possono più facilmente salire di carriera verso l’area successiva addirittura agevolati da una norma transitoria che farebbe decadere, temporaneamente, il requisito del titolo di studio previsto per l’area superiore. Questa a casa nostra si chiama “promozione”. Nursing Up non si oppone di certo, ma a patto che da tale meccanismo possano trarre beneficio anche, e qui io direi “soprattutto”,  visto che parliamo di professionisti sanitari in un comparto che si qualifica come “della sanità” , coinvolga anche gli infermieri e le altre professioni sanitarie. Dove possono andare invece, e come possono emergere gli infermieri e le altre professioni che appartengono alla medesima area, la D, se non solo ed esclusivamente in quella successiva, la E (elevata qualificazione) , che tuttavia non può certo considerarsi una modalità generalizzata ed inclusiva di progressione in quanto legata come noto a determinate e complesse limitazioni? 
Inoltre, la bozza di proposta ARAN prevede di sterilizzare l’indennità professionale  per i neo assunti. Noi ci opponiamo fermamente a questa ipotesi!

Tra le proposte dell’ARAN vi è la possibilità di accedere a ruoli di comando nel SSN (posizioni organizzative) solo a chi è munito di Laurea Magistrale. A questo punto non sarebbe opportuno liberalizzare gli accessi a tale Corso di Laurea di secondo livello?

Non riteniamo accettabile la previsione del requisito vincolante della Laurea Magistrale o specialistica per l’accesso all’area del personale di elevata qualificazione e agli incarichi di funzione organizzativa perché, oltre a essere in contrasto con la normativa vigente – in relazione ai professionisti sanitari – (che prevede tali lauree esclusivamente per l’accesso alla dirigenza delle professioni sanitarie ai sensi dell’art. 6 della L. 43/2006) impedirebbe, di fatto, quei percorsi di valorizzazione e riconoscimento della professionalità del personale a partire da quello infermieristico e sanitario. A tal proposito abbiamo anche sottolineato come -nel testo proposto- sia assente qualsiasi riferimento alle funzioni di coordinamento e al titolo necessario per potervi accedere (master di coordinamento) e, tantomeno, sia riportata la figura dello specialista e ai relativi master di accesso, il tutto egualmente previsto dalla L. 43/2006, in relazione al quale abbiamo chiesto che nel testo si ripristini una corretta individuazione e valorizzazione, compresa la figura dell’esperto.

Abbiamo già risposto in qualche modo con la seconda domanda. Gli infermieri, inseriti con le altre professioni sanitarie nell’area D, rischiano di ritrovarsi ingabbiati, intrappolati, in un percorso che li può portare unicamente nell’area E dell’elevata qualificazione, alla quale solo pochi eletti potranno accedere, a causa della  complessità e dei limiti di accesso previsti a quel livello. Tutto questo sta a significare che il riconoscimento contrattuale degli infermieri rischia di essere un finto traguardo che , se non si rivede questo meccanismo, potrebbe non portare a nulla.

Gli OSS dovrebbero passare dal ruolo tecnico a quello socio-sanitario. Cosa cambierà per loro e sarà un giorno possibile da parte degli Operatori Socio Sanitari accedere ad una contrattazione di livello superiore?

Non ci opponiamo a qualsivoglia progressione nel mondo della sanità sia la categoria della sanità, ma riteniamo che la previsione di strumenti di valorizzazione a tutti i livelli per tutto il personale del comparto certo è che se di valorizzazione si tratta, non sarebbe accettabile nessuna norma che agevoli solo alcune categorie per altro non sanitarie dimenticandosi di quelle che sono le Non avvenga solo privilegiando alcuni, dimenticandosi di alte professionalità dove la valorizzazione è un sacrosanta dalla imponente evoluzione delle loro responsabilità sancita a livello nazionale.

La nuova suddivisione delle tipologie contrattuali (i cosiddetti livelli 1, 2, 3, 4) rischiano di penalizzare Infermieri, Ostetriche e Professioni Sanitarie. Lei come la pensa?

Siamo per una valorizzazione di tutte le professionalità che si occupano di assistenza, e quindi anche con riferimento alle figure di supporto, ma riteniamo che questo non debba e non possa avvenire a discapito di altri.  Noi riteniamo che la previsione di strumenti di valorizzazione, a tutti i livelli, per tutto il personale del comparto è sì importante, se di reale valorizzazione si tratta, a patto che tutto ciò non avvenga solo privilegiando alcune categorie, quindi senza dimenticarsi , inopportunamente ed illogicamente, proprio di quelle alte professionalità dove la valorizzazione rappresenta un sacrosanto diritto legato all’imponente evoluzione delle loro responsabilità che viaggia di pari passo con l’elevato profilo esperienziale del quale sono portatori.

In Italia mancano ancora migliaia di Infermieri di Famiglia e di Comunità. Le Regioni, dopo la decisione del Governo, stendono ad assumere in questo ruolo. Come mai secondo lei questa resistenza?

Non comprendiamo, onestamente, che fine abbia fatto il progetto contrattuale da noi pubblicamente richiesto, finalizzato a valorizzare e riconoscere gli infermieri di famiglia. Nelle bozze di fonte ARAN di questo non si parla.  Stentiamo ancora a crederci. Il decreto Rilancio ne ha previsti 9.600 a maggio 2020, per il primo anno con contratti flessibili e dal 2021 assunti a tempo indeterminato: finora sono in servizio solo in 1.132, l’11,9% delle previsioni. A certificarlo è la Corte dei conti nel suo Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, dove tra si dice chiaramente che “limitato è il grado di attuazione di misure, quali l’utilizzo degli infermieri di comunità” e “incerti anche i risultati sul fronte del potenziamento dell’assistenza domiciliare o del recupero dell’attività ordinaria sacrificata nei mesi dell’emergenza, che rappresenta forse il maggior onere che la pandemia ci obbliga ora ad affrontare. Se non è un flop questo… Insomma, il ruolo sempre più centrale, la figura sempre più indispensabile degli infermieri italiani e delle altre professioni sanitarie, nell’ambito di un sistema  che ha bisogno di crescere, giorno dopo giorno, puntando apertamente sulle elevate professionalità di cui dispone, possono e devono rappresentare la chiave di volta per la tutela del cittadino, del malato e, in particolare, dei soggetti fragili. In questo senso, non possiamo che accogliere con favore l’annunciato e finalmente sancito accordo tra Governo e Regioni, nell’ambito di quel PNRR che prevedeva, da mesi, lo stanziamento di ulteriori 4 miliardi di euro per rafforzare l’assistenza domiciliare. Lo avevamo ribadito, con forza, a suo tempo, lo diciamo ancora adesso: una occasione da non perdere quella della nuova, ingente disponibilità economica da mettere al servizio dei cittadini. Queste risorse, se gestite in modo oculato, e quindi incanalate in un percorso di sinergia tra le parti in causa, con una visione olistica dove il cittadino è al centro di tutto, possono davvero essere una occasione da non perdere. Gli uomini e le donne della sanità sono pronti ad intraprendere questo percorso. Alla luce del sancito accordo Governo-Regioni, non si possono ignorare le novità emerse in casa Agenas, ente che asseverando in qualche modo ciò che Nursing Up da mesi chiede, individua il fabbisogno di infermieri di famiglia, indicando non più gli 8 professionisti ogni 50mila abitanti previsti dalla vigente normativa, ma bensì 1 professionista ogni 2-2500. Questo equivale a dire che il fabbisogno di infermieri di famiglia si traduce ora in ben 24mila unità.

E passiamo alle stabilizzazioni. Vanno distinte quelle derivanti dalla cosiddetta Legge Madia da quelle rivenienti dalle assunzioni in periodo Covid. Lei crede che ci siano i fondi per assumere così tanto personale o sarà la solita presa in giro della Politica nei confronti di “eroi sulla carta”?

Anche in questo caso crediamo di avere in qualche modo già risposto. Non siamo affatto d’accordo con quanto stabilito dal Governo. Di fronte alle gravi carenze di personale in cui versa in nostro SSN, che senso ha limitare la stabilizzazione solo a chi ha lavorato per almeno 18 mesi, “dei quali almeno 6 durante l’emergenza Covid?”Quando si parla di infermieri non faremo grandi passi di sicuro se limitiamo il numero di assunti solo a quel gruppo insufficiente di 23mila unità che ha lavorato per almeno 6 mesi durante il periodo di emergenza. Non si risolve in questo modo una carenza strutturale di 80 mila unità. Chiaro che di fronte ai continui “passi del gambero” di chi doveva garantire da tempo la risoluzione della piaga del precariato, non possiamo che essere pessimisti sul piano di stabilizzazione, visti anche i criteri adottati alquanto contorti e contestabili.

Se avesse la possibilità di riscrivere di proprio pugno il nuovo CCNL cosa eliminerebbe?

Una delle nostre principali proposte, in merito al nuovo contratto, è stata sin dall’inizio quella di creare un’area autonoma per gli infermieri e le altre professionalità, al pari di quella dei medici. Il contratto al quale auspichiamo, e che dovrebbe riscrivere la nostra storia presente e futura, deve garantire una indennità fissa ricorrente analoga a quella della dirigenza medica, da riconoscere a tutti i professionisti, senza subordinarla al possesso di titoli di studio  o quant’altro: per noi è ora di dare la giusta valorizzazione all’esperienza.Il contratto che noi abbiamo chiesto deve prevedere, una definitiva e strutturale ed irrevocabile collocazione  degli specialisti e degli esperti incardinandoli negli organici , come invece accade oggi da parte delle aziende sanitarie . Sul tema siamo disponibili a confrontarci, ma non su un mero incarico di durata triennale, ma bensì almeno quinquennale, come per i medici, e su questo l’ARAN sembra che, almeno allo stato dell’arte, abbia accolto con favore le nostre proposte.Per Nursing Up, tutte quelle posizioni “precarie nel tempo”, il  cui rinnovo viene messo alla berlina dalle aziende sanitarie, rappresentano l’ennesimo passaggio a vuoto, una finta evoluzione di carriera  che non vogliamo, che non possiamo più accettare. Anche per questo chiediamo, per i coordinatori, una specifica collocazione che sia idonea anche a proiettare le ambizioni di tutti gli infermieri che desiderassero assumere tale qualifica, verso una specifica posizione, che sia apicale ed in pianta stabile. Questo è necessario , occorre farlo eliminando gli incarichi a tempo, e garantendo una idonea collocazione nell’ambito dei quadri direttivi delle aziende sanitarie. Continueremo a lottare per ottenere gli  obiettivi che ci siamo prefissati. Questi, ovviamente, sono solo alcuni dei passaggi principali contenuti nella nostra vasta piattaforma.

Grazie presidente e buon lavoro!

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Di Redazione

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